I fondamentali

SGUARDI E POSIZIONAMENTI
La clinica declinata nei contesti transculturali non guarda al soggetto al di fuori delle proprie relazioni, delle proprie genealogie e dei propri attraversamenti culturali. Ogni sintomo si inscrive in una biografia situata, in dinamiche familiari e istituzionali, in traiettorie migratorie o in sedimentazioni simboliche che parlano attraverso il corpo, il linguaggio, i silenzi, le emozioni e le forme rituali dell'esperienza, passata e contingente, individuale e collettiva.
Per questo la nostra clinica non lavora "sulle culture", ma tra i significati, in quella zona intermedia in cui terapeuta e paziente imparano a tradurre e a decifrare le rispettive cornici interpretative. È un lavoro di mediazione, più che di analisi: mediazione tra mondi simbolici, tra norme e vissuti, tra aspettative istituzionali e narrazioni intime, tra ciò che può essere detto e ciò che emerge soltanto in forma implicita.
Questa prospettiva richiede un atteggiamento di decentramento, un ascolto che non riduce la complessità dell'altro a categorie prestabilite. La relazione terapeutica diventa così uno spazio di co-costruzione di senso, in cui la differenza non rappresenta un ostacolo, ma una risorsa clinica capace di generare nuove possibilità interpretative. Non si mira a uniformare, ma a rendere produttiva la pluralità: accogliere l'alterità senza esotizzarla, riconoscere i conflitti culturali senza trasformarli in incompatibilità, valorizzare i processi generativi che emergono quando i sistemi si incontrano.
Ogni seduta diventa un laboratorio di significati: un luogo in cui la sofferenza può trovare nuovi linguaggi, dove le esperienze marginalizzate possono essere riconosciute e dove i sistemi congelati possono aprirsi a movimenti trasformativi. La cura non nasce dall'imposizione di modelli, ma da un incontro reciproco, in cui ascolto, curiosità e ospitalità diventano strumenti essenziali di cambiamento.
In questa cornice, è stando nella relazione che si riconosce la complessità delle esistenze e si costruiscono, insieme ai pazienti, ponti tra le diverse forme di realtà che abitano l'esperienza collettiva.

FONDAMENTI EPISTEMOLOGICI DELLA COMPLESSITÀ
La complessità non è un bagaglio teorico da aggiungere alla formazione psicoterapeutica. È un regime di pensiero che modifica il modo in cui guardiamo ai fenomeni clinici.
Come insegnano le genealogie del pensiero complesso — da Bateson al costruttivismo biologico di Maturana e Varela, fino alla prospettiva storico-filosofica di Bocchi e Ceruti — la mente non è una proprietà dell'individuo, ma una rete di relazioni che si ridisegna continuamente.
La terapia, di conseguenza, non è il tentativo di correggere un errore interno alla persona, ma un lavoro sulla coerenza dinamica dei sistemi: famiglia, contesti sociali, pratiche linguistiche, storie intergenerazionali, appartenenze culturali.
Dal punto di vista formativo, questo significa:
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sospendere le spiegazioni lineari causa–effetto;
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accettare che ogni sintomo è un messaggio contestuale e relazionale;
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considerare l'osservatore come parte del sistema osservato;
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riconoscere la pluralità dei piani di realtà: biologico, emotivo, linguistico, culturale, politico.
L'epistemologia della complessità insegna che non si cura cambiando le persone, ma trasformando le relazioni e ampliando le possibilità del sistema.
Per questo, nella Scuola ISST, la complessità non è un tema: è il metodo.

L'ATTUALITÀ DELLE TERAPIE SISTEMICHE NEL MONDO CONTEMPORANEO
La terapia sistemica, nata nella seconda metà del Novecento come risposta alla crisi dei modelli individualistici e intrapsichici, è oggi più attuale che mai.
Viviamo in un'epoca segnata da reti instabili, identità multiple, contesti ibridi, famiglie ricomposte, precarietà diffusa e migrazioni continue. La sofferenza psicologica si manifesta in forme nuove, spesso situate all'intersezione tra dimensioni personali, relazionali, culturali, istituzionali e sociali.
In questo scenario, l'approccio sistemico offre una bussola preziosa. La sua forza non sta in un modello chiuso, ma in un modo di guardare:
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non cerca colpe, cerca relazioni;
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non cerca essenze, cerca processi;
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non produce diagnosi cristallizzate, apre ipotesi;
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non cura isolando, cura connettendo;
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non mira alla normalità, mira alla trasformazione generativa.
Nella contemporaneità, la terapia sistemica si arricchisce di prospettive che ampliano il campo clinico:
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la lettura transculturale e la pluralità dei significati;
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l'attenzione alle dimensioni corporee e preverbali della relazione;
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l'uso di narrazioni plurilinguistiche e di forme comunicative non lineari;
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la consapevolezza degli effetti psicopatologici dei contesti sociali, istituzionali e politici;
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l'integrazione tra pratica clinica, etica dei diritti umani e responsabilità sociale.
L'attualità della terapia sistemica risiede nella sua capacità di leggere la complessità senza semplificarla, di rispettare l'opacità dei sistemi e, allo stesso tempo, di favorire movimenti trasformativi.
Non propone protocolli rigidi, ma un ascolto radicale delle relazioni viventi.
Non offre un sapere già dato, ma un modo di interrogare la realtà terapeutica con curiosità, apertura e rigore.

